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QUANDO ai primi di gennaio il dipartimento di scienze mediche e
veterinarie di Bologna fu avvertito che sull'Appennino un lupo era stato
trovato con la gola squarciata, in un regolamento di conti fra maschi,
in un attimo si capì che si era consumato qualcosa di assolutamente
nuovo e impressionante. Non c'era mai stato, fino ad allora, nulla di
simile in quella stagione. Il tempo giusto era sempre stata la fine
dell'inverno. Da che mondo è mondo, i lupi vanno in conflitto allora,
per assumere la posizione Alfa di maschio dominante, l'unico ammesso
alla riproduzione. Lo fanno d'istinto, perché ingravidare una femmina
con troppo anticipo espone i piccoli al rischio della fame.
I
lupi sanno che la natura non dà cibo all'infinito. Per questo ammettono
alla riproduzione un solo maschio del branco. Questo inverno, di colpo,
questa precauzione era caduta. Novembre e dicembre erano stati così
caldi che i lupi avevano perso le staffe. Scatenavano tempeste ormonali
in anticipo di due mesi, esponendo la futura prole al rischio di
sterminio. La natura sta vivendo da settimane un mostruoso jet-lag di
cui vedremo presto i risultati, se a febbraio e marzo verrà la neve. Non
serve nascere quando non c'è cibo.
Il corpo del lupo diceva di
un'esecuzione perfetta. L'animale era morto come aveva sempre ucciso,
nella sua carriera di cacciatore: con un colpo solo alla giugulare. Un
morso che ti fa secco come una fucilata. Era un adulto tenuto sotto
controllo da tempo con visori a infrarossi. L'avevano battezzato
"Otello". Aveva ingravidato la sua ultima femmina ("Desdemona") la
primavera precedente. Ora gli altri maschi l'avevano tolto di mezzo,
perché tra lupi non è ammesso che un capo sia debole e la supremazia si
conquista uccidendo il vecchio re. Tutto era nelle regole. Tutto, tranne
la stagione.
Gli allievi del professor Mauro Delogu, ricercatore
di punta del dipartimento, portarono la bestia a valle per l'autopsia e
subito si vide il morso impressionante. Muscoli squarciati, vertebre
spezzate. Forse era stata un'esecuzione collettiva. Si vide dal pelo che
Otello aveva tentato la sottomissione, mettendosi a pancia all'aria. Ma
non era bastato, e allora aveva combattuto fino alla fine. Ora era lì,
scuoiato, con i potenti muscoli violetti aperti su un tavolo anatomico.
Sezionato, uno dei molari diceva l'età: dodici anni. Un patriarca,
sopravvissuto a dodici inverni.
Ho visto le immagini in vita di
quella fantastica creatura. I filmati dei passaggi nel bosco, il passo
sinuoso e leggero, le foto della mandibola a tenaglia, le vecchie
cicatrici, le registrazioni degli ululati insieme ai cuccioli, lenti,
flautati, soprannaturali, da brivido. Ho assistito al trionfo e alla
caduta di un re. Ma era una tragedia normale in natura. Il dramma vero
era altrove, nel tempo. "Ho 50 anni e quest'anno ho assistito a qualcosa
che non ho mai visto", spiega Delogu. "Gli animali sono impazziti, i
merli hanno fatto già a dicembre i loro canti d'amore e ora i loro
piccoli rischiano di uscire dalle uova quando non ci sono ancora insetti
o bruchi in giro. Qui ci si preoccupa se manca la neve a Cortina o c'è
acqua alta a Venezia, e non si vede la portata di un dramma che manda in
crisi l'intera catena alimentare".
Paolo Zucca, veterinario
ricercatore di Trieste, specialista in rapaci ricercato dagli
emiri-falconieri d'Arabia, ha 43 anni e afferma di non aver mai sentito,
da quando conosce gli uccelli, il canto primaverile dei verdoni a
dicembre. "Non basta qualche giornata di sole per far cambiare l'assetto
ormonale degli animali, ci vogliono modificazioni di maggiore portata.
Quanto stiamo osservando come etologi ed esperti di medicina della fauna
selvatica indica che le modificazioni durante l'autunno inverno 2011
sono state di tale entità da far cambiare la fisiologia della fauna
italiana. Tenendo presente che tale fenomeno è molto rischioso per le
specie, possiamo dire di trovarci di fronte a cambiamenti di stadio già
avanzato. Insomma, ci siamo già dentro alla grande. Gli animali
sbagliano di rado, e stavolta si sbagliano in massa".
Delogu è
appena tornato dalla Siberia dove quest'anno, invece di meno quaranta,
si è scesi solo a meno dodici, e conferma di essere di fronte a una
mutazione enorme. "Le gazze rimettono a posto i loro nidi normalmente a
marzo. Quest'anno sono lì da prima di natale. Migliaia di specie sono
improvvisamente a rischio di estinzione. Individui costruiti da una
selezione di milioni di anni ora escono dal Pianeta. Il grave è che
scompaiono specie che hanno determinato anche la nostra evoluzione. Se
siamo eretti, veloci e armati è anche per la paura degli animali come il
lupo. E che dire delle piante: querce, ciliegi, ontani neri, noci, i
loro semi devono passare un tempo sotto zero se no non germogliano, e
stavolta l'inverno vero non si è ancora visto sulla terra".
Il
laboratorio dell'università di Bologna è pieno di animali imbalsamati:
cinghiali, lontre, uccelli rapaci, pernici e galli cedroni. Quasi tutti
li ha raccolti e preparati lo stesso Delogu, in una caccia alle
meraviglie dell'Arca iniziata già sui banchi delle elementari. Ogni
tanto indica specie estinte o a rischio di estinzione che erano
diffusissime quando lui era ancora adolescente. "Guardi questa farfalla
in bacheca, si chiama Zerinzia. Vive esclusivamente di un'erba dei fossi
che si chiama Aristochia. Se si riproduce prima che spunti quell'erba, i
bruchi non trovano più cibo e la specie scompare". Aggiunge: "Fa
effetto puntare il dito su qualcosa che non esiste più. Queste bacheche
sono piene di animali che non ce la faranno".
La mutazione è in
corso da anni. Le anatre e le oche siberiane d'inverno non scendono più
fino in Puglia ma si fermano in Polonia e Germania. I pappagallini verdi
hanno invaso l'Italia e con loro la farfalla monarca del Nordafrica.
Dal Mar Rosso arrivano le tartarughe, i barracuda, i pesci balestra e
altri. La gente dice: chi se ne frega. E sbaglia. Senza più barriere
climatiche, le nuove specie possono portarsi dietro virus tropicali e
attaccarci. Il barracuda può falcidiare il pesce azzurro che è
componente della nostra nutrizione da millenni. "Avere accanto a noi una
farfalla monarca, è esattamente la stessa cosa che trovare una zebra a
Milano".
Quest'inverno senza neve espone la pernice bianca e la
lepre bianca alla cattura dei predatori. Il loro colore mimetico,
acquisito da millenni, da qualche anno è diventato un implacabile
segnalatore. Il bianco sul grigio o sul bruno risalta a chilometri. Lo
sanno i cacciatori, e lo sa il falco pellegrino che, se vede un piccione
bianco in mezzo a uno stormo di un altro colore, catturerà quel
piccione e non altri. Fin dal medioevo i nobili allenavano i loro
falconi usando come preda proprio il piccione bianco.
L'orologio
della natura è in tilt. Agli uccelli come i rondoni, insettivori puri,
capita di arrivare in Italia prima che ci siano insetti da mangiare.
"L'anno scorso a Bologna - racconta Delogu - ne abbiamo raccolti a
centinaia stecchiti per le strade". E intanto, in questo disastro,
emergono gli animali maggiormente adattabili. I topi. Gli storni, che
mangiano qualsiasi cosa. I gabbiani reali, che fanno i loro festini
nelle discariche fino a 2500 metri di quota. Delogu accarezza i suoi
animali impagliati e sorride: "Noi ci siamo dentro fino al collo. E
chissà se un giorno, tra qualche secolo, un astronauta verrà sul Pianeta
e in una bacheca indicherà, tra le specie estinte, anche uno di noi".
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Tratto da Repubblica.it.